lunedì 30 gennaio 2012

Tassazione degli utili e delle perdite

Mi scuso se ogni tanto bisogna addentrarsi in questioni molto "tecniche", ma l'ingiustizia del sistema si misura anche conoscendo i dettagli specifici delle varie situazioni.

E allora, una dei fattori di ingiustizia del sistema è dato dal trattamento degli utili e delle perdite di impresa.

Parliamo in particolare del trattamento sfavorevole riservato alle ditte individuali, snc e sas

Spiego la questione con un esempio pratico: un lavoratore dipendente, di solito, ha un reddito stabile o leggermente crescente nel tempo. La leggera crescita deriva dall'aumento del costo della vita, dagli scatti di anzianità, dagli eventuali avanzamenti di carriera. Per cui se quest'anno il dipendente ha reddito 30.000, l'anno prossimo avrà per esempio reddito 31.000, tra due anni 32.000 e cosi' via. Il dipendente rimane di solito sempre nell'ambito del medesimo scaglione di tassazione; il passaggio da uno scaglione all'altro è un evento eccezionale.

Non è così per la tassazione delle imprese. Infatti le imprese, di solito, non hanno sempre lo stesso reddito: ci sono anni buoni e anni cattivi, anni in cui c'e' un utile molto alto, e anni in cui si guadagna poco, o addirittura si perde. Il principio della legislazione italiana è che ogni anno è soggetto ad una tassazione autonoma. Fatto salvo il riporto delle perdite da un anno all'altro (che comunque è soggetto a determinati limiti) non è ammesso il bilanciamento del reddito degli anni buoni con il reddito degli anni cattivi.

E allora succede che l'impresa quest'anno guadagna 80.000, e l'anno prossimo guadagna zero.
Quest'anno, siccome ha guadagnato 80.000, finisce in uno scaglione di reddito altissimo, e paga un sacco di tasse. L'anno prossimo, siccome non ha guadagnato niente, non paga niente.
Ma, chiedo io, non sarebbe giusto che l'azienda pagasse sulla media dei propri redditi ? Cioè su 40.000 all'anno? Che differenza c'e' tra la capacità contributiva di questa impresa, e quella di un dipendente che guadagna 40.000 all'anno ? alla fine del biennio, non hanno comunque guadagnato entrambi 80.000?
Eppure il nostro sistema fiscale funziona così, e quindi alla fine del biennio l'impresa, a parità di reddito con il dipendente, avrà pagato molte piu' tasse del dipendente (che, comunque, già di tasse ne paga parecchie)

Oltretutto, l'imprenditore ha diritto, come del resto i dipendenti, ad usufruire di determinate detrazioni, oneri deducibili ecc. Cosa giustissima. Pero' in pratica egli ne puo' usufruire solo nell'anno in cui ha avuto il reddito di 80.000. Nell'anno in cui il reddito è pari a zero, in base alla legge le sue detrazioni e i suoi oneri deducibili vanno perduti. Si azzerano, si annullano, sono inutilizzabili. Per cui, mentre il dipendente ha usufruito di due anni di detrazioni, l'imprenditore ne ha usufruito solo di uno (quindi, la metà)

Non solo, ma c'è anche una differenza di carattere previdenziale. Infatti per le imprese è previsto un mimimo contributivo. In pratica, se un imprenditore ha guadagnato zero in un determinato anno, deve comunque pagare su un reddito minimo, pari a circa 14.600 euro. Naturalmente nell'anno delle vacche grasse se ha guadagnato 80.000, deve pagare i contributi previdenziali su tutto. Per cui alla fine del biennio, pur avendo guadagnato 80.000, avrà pagato su 94.600. Vi pare giusto ?

Senza contare, poi, che le imprese a volte falliscono. Se per i primi quattro anni l'impresa ha guadagnato 50.000 all'anno, e ha pagato le relative tasse, benissimo. Ma se il quinto anno l'impresa ha una perdita di 200.000 e quindi fallisce, che succede ? Ovviamente il quinto anno non paga tasse, ci mancherebbe. Ma nell'arco della sua vita ha avuto 200.000 di utili e 200.000 di perdite, quindi in sostanza non ha guadagnato niente. Però ha pagato le tasse su 200.000, che il Fisco non rimborserà mai (non essendo ciò previsto dalla legge). In sostanza, con un reddito quinquennale pari a zero, ha pagato le tasse su 200.000 (il che senza dubbio ha contribuito fortemente al fallimento).

Se si vuole sconfiggere l'evasione fiscale (cosa giustissima) bisogna smettere di trattare le imprese (specialmente le piccole, che sono le piu' penalizzate) in maniera cosi' ingiusta. Si stabilisca un periodo di tempo sufficientemente lungo (chesso', 5 o 10 anni), e all'interno di questo periodo si stabilisca che le tasse da pagare annualmente costituiscono un acconto, che poi andrà conguagliato alla fine del quinquennio o del decennio in base alla media dei redditi del periodo.

E, parlando piu' in generale, se vogliamo salvare l'Italia bisogna smettere di massacrare le piccole imprese, perchè andando avanti di questo passo le piccole imprese spariranno o quasi dalla scena economica, e ci troveremo in potere dei grandi gruppi e delle multinazionali, che pagano molto meno tasse ed hanno un trattamento fiscale molto piu' equo, se non, molto spesso, di favore. Ma forse è questo che in realtà si vuole, da parte dei "poteri forti"
 

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